La conquista di Gorizia: si prepara l'attacco

La morfologia del terreno sul quale avrebbe dovuto svolgersi la battaglia per l'occupazione di Gorizia era ed è particolarmente difficile.
Per occupare la città gli italiani dovevano necessariamente impadronirsi delle posizioni austro-ungariche organizzate sulle colline intorno alla città. Quindi le truppe di Cadorna dovevano occupare il Monte Sabotino e le alture che da Oslavia si estendevano fino al Podgora, neutralizzando quindi i principali punti chiave del sistema difensivo organizzato dai difensori di Gorizia. Ma per ottenere le maggiori probabilità di successo il Comando Supremo doveva anche tenere in considerazione l'occupazione del Monte San Michele, altro punto di resistenza a sud della piana di Gorizia ed infine estendere l'attacco anche alle alture poste alle spalle della città: Monte Santo e Monte San Gabriele. L'occupazione di questi due monti avrebbe dato la possibilità agli italiani di estendere il territorio occupato ed aprire la strada ad altre importanti conquiste come il vallone di Chiapovano e l'altopiano della Bainsizza. In ogni caso, per le truppe di Cadorna, l'occupazione del Monte Santo era di fondamentale importanza, se non altro per non trovarsi poi con il fianco esposto ad eventuali contrattacchi austro-ungarici.

Lavori di sistemazione sul Monte Sabotino
I ripetuti attacchi al Monte risalenti fin dall'inizio delle ostilità (prime quattro battaglie dell'Isonzo), non portarono a risultati rilevanti. Il sistema di attacco utilizzato dai comandanti italiani era completamente sbagliato. Gli attacchi frontali si infrangevano puntualmente contro i reticolati e le postazioni difensive austro-ungariche. Le perdite furono elevatissime a fronte di pochi guadagni. Era necessario procedere a lavori di sistemazione ed adattamento del terreno conquistato su quest'altura in modo che queste fungessero da futuro trampolino di lancio per ulteriori attacchi decisivi per la conquista di questa importante altura che, nel suo punto più elevato, misura 609 metri (slm).
Dopo la prima serie di attacchi in stile kamikaze delle truppe italiane, i comandi decisero di procedere allo scavo di trincee e camminamenti profondi che dalle alture di Oslavia portassero fino in prossimità della cima del monte. La realizzazione di camminamenti sicuri era la condizione essenziale per una permanenza stabile delle truppe. Fu durante la quinta battaglia dell'Isonzo che i lavori di sistemazione ed avvicinamento alle difese avversarie furono presi in forte considerazione anche a causa dell'occupazione di un nuovo punto chiave: una parte del Bosco quadro, poco sotto la linea di cresta (q. 513 ca). Da qui fu scavato un profondo camminamento che si collegava con la trincea detta dei "Massi rocciosi" di q. 240 e che continuava fino al torrente Peumica per arrivare alla q. 188 di Oslavia. I lavori continuavano nel più assoluto segreto ma la distanza dalle trincee austro-ungariche si stava quindi assotigliando: presupposto fondamentale per la presa dell'intero monte e per la caduta della città di Gorizia.

Campo di battaglia di GoriziaLa mappa mostra il campo di battaglia di Gorizia

Piani di attacco
Complessi, segreti e con un grosso movimento di truppe. Queste in sostanza le caratteristiche dei piani di attacco definitivi elaborati dal Comando Supremo per scardinare il sistema difensivo austro-ungarico intorno a Gorizia ed occupare la città.
Il 9 luglio 1916 il Comando Supremo dirama le direttive generali del piano di attacco. La III Armata del Duca d'Aosta avrebbe attaccato sul Carso monfalconese con il suo 7° Corpo a partire dal 4 di agosto. Il 6° Corpo avrebbe invece attaccato la linea San Martino del Carso-Monte San Michele (obiettivo secondario negli intendimenti del Comando Supremo). La II Armata avrebbe fornito il supporto di artiglieria necessario alla buona riuscita delle operazioni. Sull'Isonzo fu trasferita una parte delle artiglierie della I Armata che arrivarono in zona dal fronte del Trentino assieme a circa 300.000 uomini di truppa.
Notevoli anche i tentativi di mantenere segreto il movimento di questa massa di truppe e materiali occorrenti per la buona riuscita dell'azione. I servizi segreti provvidero a diffondere la notizia che non ci sarebbe stato alcun attacco contro la piazzaforte di Gorizia bensì in Valsugana. In effetti la situazione generale fece credere agli Austriaci che un attacco in grande stile era molto più probabile in zona Trentino che non sull'Isonzo, anche perché bene o male erano ancora in piedi gli strascichi della Strafe Expedition austriaca ed in effetti, il generale Conrad, capo di stato maggiore delle forze Imperiali era più che convinto che Cadorna non fosse in grado di organizzare un ulteriore attacco sul fronte isontino; almeno non in tempi così brevi. Detto questo, la sorpresa italiana riuscì in pieno.
L'inizio dell'azione per la conquista di Gorizia fu stabilita per il mattino (ore 7) del 6 di agosto (1916) quando le batterie da assedio italiane avrebbero aperto il fuoco sulle posizioni austro-ungariche per prendere i giusti rilevamenti. Alle ore 8 del mattino sarebbe scattata la seconda fase, quella di fuoco tambureggiante che aveva il compito di sconvolgere completamente le difese austriache e spianare i campi di reticolati antistanti a queste in modo da aprire la strada alla fanteria. Il fuoco sarebbe stato interrotto per qualche minuto in modo da dare la possibilità alle vedette di controllare che tutti i varchi fossero effettivamente aperti ed accessibili. Era previsto l'impiego di proiettili a gas per neutralizzare le postazioni dell'artiglieria austro-ungarica che avrebbe potuto contrastare l'avanzata delle truppe italiane. Queste ultime furono ammassate in ricoveri e preparate per l'assalto che doveva perentoriamente essere violento e molto rapido per sopraffare la resistenza nemica ed impedire che venissero inviati rinforzi da Gorizia.

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