Parola d'ordine: sfondare le linee austro-ungariche dal Carso, passando davanti a Gorizia e su fino
nell'Alto Isonzo in corrispondenza dei valichi montani in quanto, così facendo, si sarebbe dato un
colpo pressochè mortale alla difesa dell'Impero e poco ci mancò che l'esercito italiano riuscisse
nell'intento. La troppa cautela, l'errata interpretazione degli ordini, i ritardi e la stessa conformazione
del terreno, inficiarono negativamente sui piani che, almeno sulla carta, erano pressochè perfetti.
"Le forze austro-ungariche alla nostra fronte all'inizio delle ostilità essendo scarse, avremmo
potuto avanzare più celermente anche colla 3a Armata verso il Carso. Ma si deve tener conto del fatto che
non potevamo raggiungere lo stato di mobilitazione completa che verso la metà di giugno e che in questo
frattempo il nemico poteva trasportare sulla fronte Giluia una quantità di forze già mobilitate colla ricca
rete ferroviaria di cui disponeva [...]... Le voci abilmente sparse dagli austriiaci di formidabili
fortificazioni, di strade minate, ecc., attutirono in qualche comandante lo slancio offensivo, già poco
sviluppato dall'educazione di pace. [...]. Alcuni si lasciarono impressionare, tanto che la 1a Divisione
di Cavalleria che avrebbe dovuto, secondo gli ordini ricevuti, operare di sorpresa ai ponti di Pieris sull'Isonzo,
impedirne la distruzione, e gettarsi possibilmente al di là del fiume, non avanzò che di alcuni chilometri,
preoccupata di non perdere contatto colle divisioni di cavalleria, che avanzavano lateralmente, dando
così agio agli Austriaci di rovinare nel pomeriggio di quello stesso giorno il ponte ferroviario e di
abbruciare quello in legno della strada ordinaria.". - Luigi Cadorna, La guerra alla fronte italiana.
Anche il Comando Austriaco sapeva perfettamente che gli intendimenti del Comando Supremo italiano erano
pericolosi ed al generale Boroevic venne affidato il compito di resistere ad oltranza sul Carso e di tenere
la città di Gorizia. D'altra parte gli austriaci erano agevolati nel compito dalla "fortezza naturale" che
offriva il territorio da difendere. La linea del Basso Isonzo era assicurata dall'altipiano carsico, difeso
alle estremità occidentali ed orientali rispettivamente dal Monte San Michele e dal Monte Hermada.
Il tutto si raccordava perfettamente con il campo trincerato di Gorizia, protetto dal Monte Sabotino, abilmente
collegato con le quote di Oslavia-Grafenberg-Podgora. Le alture, come il Monte Sabotino ed il retrostante
Monte Santo, iniziavano già ad essere "importanti" come quota: 609 mslm per il Sabotino e 682 mslm per il Monte
Santo. Oslavia-Grafenberg-Podgora e le altre opere di difesa intorno a Gorizia, erano state praticamente
trasformate in fortini quasi inespugnabili. Campi di reticolati e cavalli di Frisia ovunque e su più ordini,
mitragliatrici abilmente piazzate e mascherate per colpire d'infilata gli attaccanti, gallerie e camminamenti
coperti, trnincee blindate e profonde. Notevoli anche i lavori di mina dei zappatori austro-ungarici che
riuscirono a ricavare ampie caverne e ricoveri per le truppe, profondi camminamenti defilati e svariati
depositi di munizioni molto vicini alle prime linee. Le opere furono rafforzate da altri ordini di trincee
che componevano la seconda e la terza linea. La seconda linea non era molto lontana dalla prima (circa 100 m); la
terza linea (500 m) riusciva ad accogliere l'arrivo delle truppe di rincalzo che da lì dipartivano per le
linee più avanzate.
Nel settore dell'Alto Isonzo le difese erano imperniate su linee di trincee continue, scavate e fortificate
sui versanti aspri e difficili da scalare e coadiuvate da artiglierie campali e d'assedio, presenti oltrettutto
anche dietro la città di Gorizia. Si può dire che il settore meno fortificato della difesa austriaca era proprio
il settore del Carso. In effetti i fanti italiani qui si trovarono di fronte ad opere appena abbozzate che,
data la natura del terreno e la fretta con la quale erano state organizzate (nel lasso di tempo intercorso tra
l'entrata in guerra dell'Italia e l'effettivo via delle operazioni, una quindicina di giorni in tutto), avevano
più l'aspetto di ricoveri che di vere e proprie opere difensive stabili. Dove il terreno non permetteva di
scavare data la sua natura rocciosa, venivano alzati muri a secco le cui pietre erano tenute insieme da impasti
di ghiaia, cemento e filo di ferro; questo dove si poteva e dove si riteneva fossero i punti che dovevano
offrire maggior resistenza. Nella maggior parte dei casi le trincee di prima linea sul Carso erano buche i cui
argini erano protetti da sacchetti di terra e pietre carsiche che non erano per nulla efficienti e tanto meno
efficaci per proteggere gli occupanti durante i continui bombardamenti.
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