La vita in trincea

Forse non è molto semplice rendere l'idea di come dovesse essere la vita in trincea; molto si deve all'immaginazione ed agli scritti lasciati nei diari di molti fanti che in trincea vissero per quasi tre anni o più. Probabilmente c'erano trincee nelle quali si stava meglio ed altre dove si stava peggio, come per esempio quelle di prima linea. E' da dire che la trincea era la "casa" del soldato combattente e quindi, dopo l'iniziale impatto con la guerra di posizione, i fanti cercarono di accomodare la trincea nel miglior modo possibile, compatibilmente con le condizioni del terreno e l'andamento delle varie offensive. Di certo il fante in trincea si sentiva sicuro, anche se molto spesso, durante un bombardamento, le trincee venivano sconvolte. Forse era più che altro uno stato di suggestione che il fante creave nella sua mente, dal momento che spesso, come si è detto, la trincea poteva offrire poca protezione contro le granate dell'artiglieria pesante. Le trincee come si può facilmente immaginare, si sviluppavano lungo chilometri di linea, correndo talvolta vicinissime a quelle dell'avversario e quindi ancor di più esposte al fuoco di fucileria o bombe a mano. In questi casi, anche un voluminoso ed esteso groviglio di reticolati poteva incutere al fante la necessaria fiducia di trovarsi in una trincea sicura ed indurlo ad accettare la permanenza nella stessa per il turno stabilito. In trincea i fanti vivevano i momenti cruciali di un assalto, condividevano i momenti di calma durante i quali scrivevano a casa o potevano leggere la posta loro inviata dai familiari. In trincea insomma la vita continuava giorno dopo giorno in modo quanto più "normale" possibile. Molto spesso accadeva che un'estremità della trincea dovesse sostenere un attacco all'arma bianca e dall'altra parte la vita continuava normale. Dopo mesi e mesi di trincea i fanti non si curavano troppo di cosa stesse accadendo all'estremità opposta della trincea che occupavano, in particolare se questa era estesa. La tensione nervosa in ogni caso era sempre presente, perchè se è vero che la maggior parte dei giorni o mesi spesi in trincea era tranquilla, la calma poteva rompersi nel giro di pochissimi minuti e talvolta anche senza preavviso. Questa in generale la vita nelle trincee del fronte dell'Isonzo, peraltro comune a quella che si viveva in tutte le altre trincee d'Europa. La cosa più sgradevole della trnicea era che purtroppo l'igiene non era affatto di importanza capitale. E' ovvio che i soldati vivendo in trincea dovevano pur sempre espletare i propri bisogni fisiologici. Di certo non potevano saltar fuori dalla trincea col rischio di prendersi una palla in testa. La trincea era un'immensa cloaca, di gran lunga peggiore della stalla. Quando si poteva, il pavimento della trincea era costituito da assi di legno, sotto i quali scorrevano i vari liquami; in altri casi, specie nelle trincee di prima linea dove i lavori di sistemazione erano sempre rischiosissimi, i fanti camminavano costantemente immersi negli escrementi, nei resti di cadaveri che non si potevano gettare dal parapetto, in mezzo a topi enormi che si infilavano dappertutto e che del resto, visto l'inesistente arrivo delle salmerie in periodo di offensiva, venivano cacciati e mangiati. Questo valeva per entrambi gli schieramenti in lotta, ovviamente. A parte questo, sul Carso in particolar modo era sentita la scarsità d'acqua. Quindi non c'era possibilità di lavarsi e di certo la poca acqua disponibile non veniva dedicata alla toelettatura. Era il regno dei pidocchi e dei scarafaggi più diversi. Ci si immagini di vivere per giorni con i pidocchi e gli scarafaggi che si infilano nei vestiti... Poi il persistente odore dei morti in putrefazione, quello degli escrementi, l'odore del sangue...
La diffusione di malattie come febbre itterica, tifo, colera, malaria era elevata e non c'era verso di prevenirle. Quando pioveva i soldati erano sempre immersi nel fango e nell'acqua stagnante, spesso fino quasi al ginocchio. Per giorni dovevano vivere in quelle condizioni sviluppando altre malattie quali il "piede da trincea". Nei casi più sfortunati la cancrena avrebbe mangiato le carni. Anche la più banale delle ferite poteva diventare un problema irrimediabile in trincea. I medicinali ed il livello di conoscenza della medicina di allora non può essere paragonato a quella odierna; va da sè che le amputazioni, anche in casi curabili, erano all'ordine del giorno. Chiaramente molti fanti morivano per il mancato soccorso o perchè si preferiva curare quelli che potevano sicuramente ritornare in linea. Un ferito arrivato al posto di medicazione di prima linea veniva in genere "etichettato" con un cartellino rosso o verde. E' chiaro che il soldato con il cartellino rosso non raggiungeva l'ospedale nelle retrovie.
Il vitto: spesso freddo ed indefinito con il problema dell'acqua, solo mezzo litro al giorno per i fanti italiani, quando c'era, che non bastava nemmeno per lavarsi le labbra, in particolar modo durante l'estate sul Carso o comunque lungo tutto il fronte dell'Isonzo. I fanti austro-ungarici avevano lo stesso problema "[...] Il sole cocente si alza e cominciamo ad avere sete, ma l'acqua non c'è. La gola è riarsa, solo uno sorso d'acqua. Una buca di granata con dell'acqua piovana di una settimana fa; acqua sanguigna, mischiata con l'ecrasite (nota - materiale esplosivo), sopra galleggiano membra piene di vermi, sopra di essa gente in ginocchio intenta a bere" - Maticic, Lubiana 1966.

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