Da Gorizia a Doberdò, parte III

La parte meridionale della cornice non è costituita da un semicerchio ben pronunciato, e nemmeno da un vero e proprio gruppo montagnoso ma, rigido come la corda d'un cerchio, l'altopiano corre diritto in avanti. Da un'altezza di oltre 600 metri si abbassa fino al Fajti Hrib e comincia a partecipare alla guerra solo a questa quota 464. Ma anche da questo punto fino al fronte ci sono ancora otto chilometri di altopiano.
Raramente in questa guerra un corpo militare ha dovuto difendere un territorio così segregato e sassoso. Gli Ungheresi stanno quassù come se fossero in una gigantesca fortezza e considerano digià l'altopiano quasi come una patria. In nessun punto questo territorio arriva fino all'Isonzo, che dal punto in cui lascia la pianura goriziana appartiene al nemico. Nel settore goriziano la parola più significativa è quindi Isonzo, lì il fiume è amato e difeso, qui, invece, è l'altopiano. "Noi Ungheresi teniamo Doberdò!" E' l'inno popolare del corpo.
Davanti al Fajti Hrib si estende l'altopiano che è simile a quello della Rax(1). Piccoli cocuzzoli verdi di vegetazione, tra questi le conche che sono fertili e si chiamano doline, e strade tagliate nei fianchi delle colline, che si differenziano dai monti a nord per le loro caratteristiche carsiche e cioè per le pietre. Tante pietre in un solo giorno l'Ungherese non le ha mai viste insieme in tutta la sua vita. Mi raccontano la storia significativa di un contadino di Debreczin, che annunciava per lettera a sua moglie il suo ritorno a casa in licenza. In ogni cortile di Debreczin c'è un unico sasso, messo lì per decorare quella terra sterminata. Nella lettera. l'uomo ordinava a sua moglie di togliere quel sasso dal cortile. Per alcuni giorni non voleva più vedere nemmeno un solo sasso. Tutto il massiccio altopiano precipita a capofitto nel Vallone, che è una di quelle valli carsiche senz'acqua che corrono attraverso le catene montuose. Sembra la bipartizione di un lungo filone di pane. E' nella parte anteriore, la vera e propria Doberdò, - perché l'altra si chiamava prima Comeno, - che si trova il campo di battaglia. Dal Vallone esso risale verso un piano inclinato quasi privo di cime fino al margine più avbanzato, costituito dal Monte San Michele.
Questo Monte San Michele sta davanti agli Italiani come un pugno chiuso battuto sul tavolo. Risalendo dal polso alle quattro nocche fortemente sporgenti, le famose quattro cupolette rotonde del San Michele, l'altopiano somiglia moltissimo al dorso di una mano. Le altrettanto famose posizioni sull'Isonzo costituiscono il pollice. Le dita, che stringono il versante nord e sulle quali s'infrange giorno per giorno il fior fiore dell'armata itlaiana, non sono visibili da qui.
Oltre il margine dell'altpiano, si vede, a sud, il mare fino a Grado e, dicono, fino a enezia nei giorni più limpidi. A nord lo sguardo spazia naturalemtne su tutta la città di Gorizia. Poi si domina il cantiere di Monfalcone che, in questo momento, è preso di mira dal nostro grande mortaio. Il telescopio permette di vedere come il fumo delle navi si mescoli con quello delle granate. Poi, l'osservazione si rivolge al margine settentrionale del plateau oltre l'imprendivile Monte cosich, oltre la combattutissima altura di Selz, verso Udine e verso Cormòns, dove risiede il comandante dell'armata italiana.
Le strade di Cormòns sembrano vicinissime, par di poterle toccare con la mano. Sono eccitata: "Che traffico! Tutti quei camion! Le automobili! La gente! E tutti gli Italiani sul ponte dell'Isonzo! Non sparano là in mezzo? Gli Italiani non fanno forse sempre fuoco su Gorizia?!"
L'osservatore sorride: "Da lungo tempo ci siamo tolti quest'abitudine. Se sparassimo su ogni carro, non avremmo più granate. E inoltre non serve a nulla. Uno degli insegnamenti più curiosi did questa guerra è che con l'artiglieria non si riesce a fermare il traffico. Ora anche gli Italiani rinunciano sempre più all'inutile sparatoria sulle singole persone. A volte si divertono a far fuoco anche su movimenti minori, ma solo per vedere gli uomini schizzare via o cadere. In genere però anche a loro sembra che una granata vale più di un pedone.
Tra i ciliegi carichi di frutti maturi, passando per doline coltivate e postazioni di riserva, andiamo sulle cime avanzate, in mezzo alle quali pullulano ben nascosti gli osservatori dell'artiglieria. Interi stuoli di cannocchiali sono distribuiti in ogni angolo del monte, con centinaia d'occhi gli Ungheresi vegliano sul destino di Doberdò. Vaghiamo su e giù per le montagne; di quando in quando un apparecchio telefonico portatile viene collegato con un filo per avere notizie dell'azione che si sta preparando. Con la linea di terra ciò viene attuato in cinque minuti.
Arriviamo dagli osservatori del mortaio, degli obici e dei cannoni a lunga gittata. Uno degli ufficiali ha appena scoperto la costruzione di una nuova piazzuola di cannone. Si vede la gente avvicinarsi di soppiatto, caricare assi di legno e portarle via. Mi lasciano guardare col cannocchiale dopo che è stato fatto partire il colpo. Ma va a finire troppo lontano e gli Italiani continuano tranquillamente a costruire. Chi ha preso parte a questa guerra da un anno, tanto di qua tanto di là, non smette di lavorare se la granata non scoppia a meno di cinque passi di distanza. Mentre stiamo per andarcene, l'osservatore ci grida dietro: "Entro dieci minuti quelli là smetteranno di costruire". Ma il mio accompagnatore risponde ridendo: "Eppure, mio caro, la piazzuola sarà pronta all'alba di domani. Puoi sparare quanto vuoi".
Scendiamo in piena vista del nemico; a Doberdò si è sempre visti dagli Italiani, qualunque sia il punto in cui ci si trovi. Per rendere in quqlche modo più sicuri i movimenti, tutta la zona è stata mascherata. Le strade, i sentieri, i ponti, perfino le cucine da campo, tutto è coperto, mimetizzato con rami intrecciati, reso invisibile da stuoie di paglia e da siepi di granturco.
Di sera, quando accendo la lampada per scrivere, l'attendente bussa alla porta della mia camera e mi grida di chiudere le imposte. "Gli Italiani vedono la sua luce!"
Allo stesso modo naturalmente da Doberdò si vede in ogni direzione e proprio per questo il plateau è una posizione chiave del fronte dell'Isonzo. Gli italiani sanno benissimo perché desiderano così ardentemente questo altpiano: se lo avessero, Gorizia diverrebbe indifendibile.

(1) Raxalpe è un altopiano calcareo delle alpi austriache a nord di Semmering.

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