Nelle trincee insanguinate del carso, parte II

E giunse così il 23 aprile, giorno di Pasqua.
Ricordo benissimo quel giorno, perché fu uno dei più spaventosi: fu infatti una Pasqua di terrore e di morte.
Avevo raggiunto da pochi giorni la prima linea a San Martino e mi apprestavo a trascorrere assieme ai compagni d'armi la prima Pasqua in trincea. Quel giorno pareva destinato a passare tranquillo, nel rispetto della grande festività cristiana. Pare infatti che in precedenza fossero stati lanciati dalle opposte trincee dei biglietti nei quali ambo le parti stabilivano di sospendere le operazioni belliche nel giorno di Pasqua.
Purtroppo un nostro sergente, capo pezzo addetto alla mitraglia, che non era stato avvertito di quella tacita intesa fra le due forze in lotta, vedendo alcuni soldati avversari muoversi nelle trincee di fronte, sparò nella loro direzione. Non so se quei soldati furono colpiti o meno dai colpi di mitraglia indirizzati loro dal nostro sergente, so soltanto che quegli spari dettero inizio ad un bombardamento austriaco senza precedenti che sconvolse tutte le nostre trincee e i nostri camminamenti, tanto da far temere un'offensiva nemica in grande stile.
A causa di un banale equivoco subimmo così ingenti perdite e parecchi furono i morti e i feriti tra le nostre file.
Dopo quel periodo di trincea, costellato - come si vede - di momenti altamente drammatici, venni scelto come porta-mensa ufficiali. Fu probabilmnte grazie a questo mio nuovo incarico che - come vedremo in seguito - ebbi salva la vita nella tragica giornata del 29 giugno 1916.
La cucina della nostra mensa si trovava a Sdraussina vicino alla passerella che attraversava l'Isonzo portando a Gradisca.
A Sdraussina, e precisamente nella grande villa (castello) oggi distrutta, c'erano anche i Comandi militari, mentre nella casa vicino alla fontana era posto il Comando di Battaglione Genio Zappatori.
Nella piccola località sulla sinistra dell'Isonzo c'era pure una teleferica che giungeva fino a Bosco Cappuccio e serviva a portare i rifornimenti (soprattutto durante la notte) alle nostre truppe. Inoltre vi era stata installata una grande pompa la quale mandava l'acqua fino al valoncello di San Martino, dove erano collocate delle larghe tinozze che servivano da cisterne-deposito.
Come si vede dunque il paesino di Sdraussina, situato com'è a ridosso del Carso, aveva in quel periodo una notevole importanza logistica e strategica per le nostre truppe. Anch'io, come porta-mensa ufficiali, avevo la mia "base" a Sdraussina, essendoci là le cucine della mensa e proprio là mi trovavo, come del resto tutti i giorni che erano trascorsi da quando avevo avuto quell'incarico, all'alba di quel 29 giugno 1916, che doveva rivelarsi come uno dei più tragici giorni vissuti da noi soldati.
Già il giorno precedente era stato doloroso per noi poiché il nemico aveva risposto con una violenta reazione ad una nostra offensiva sul San Michele e a San Martino. Avevamo avuto numerose vittime fra i nostri soldati, tra gli altri anche un mio conoscente: il fante Fioravante Giusti di Oderzo del 48° Fanteria e le nostre trincee e i nostri camminamenti erano stati sconvolti in più punti; ma tutto ciò era nulla se confrontato a quello che doveva capitarsi quel giorno.
Il nemico infatti teneva in serbo per noi una delle più terribili armi che mai furono impiegate in guerra: i gas asfissianti.
Già da diverso tempo un apposito battaglione austro-ungarico costituito da specialisti nell'uso dei gas era stato organizzato e addestrato a Krems sul Danubio a cura di ufficiali germanici. In giugno tale reparto era stato trasferito in gran segreto sul fronte dell'Isonzo, per preparare, con la consueta cura e meticolosità che contraddistingueva il Comando austro-ungarico, l'attacco coi gas.
Erano stati fatti molti esperimenti ad uno dei quali, il 22 giugno, nei pressi di Segeti, aveva assistito il generale Boroevic, comandante dell'Armata del basso Isonzo e l'arciduca Giuseppe, comandante del VII Corpo. I soldati erano stati esercitati nell'uso delle maschere di protezione e agli ufficiali della 20a Divisione Honved, designata all'attacco, era stata tenuta una conferenza sull'uso dei gas, alla fine della quale però diversi ufficiali avevano espresso la propria riprovazione circa l'impiego di quello sleale mezzo di guerra.
Il comandante della 18a Brigata Honved aveva chiesto addirittura di essere esoneerato dal comando piuttosto che rinunciare ai suoi convincimenti morali.
Il deposito principale dei gas era stato stabilito a Lubiana, mentre quello avanzato si trovava a Ranziano. Le installazioni per l'attacco contro le nostre linee furono preparate nella zona del M. San Michele e di San Martino del Carso, lungo il fronte tenuto dalla 20a Divisione Honved e dalla 17a Divisione di Fanteria austro-ungarica. I gas ad alta pressione erano racchiusi in bombole metalliche, ciascuna munita di un rubinetto e di un tubo di afflusso. Tali bombole erano state collocate in casse di legno imbottite con sacchetti di sabbia per proteggerle da eventuali tiri delle nostre artiglierie e le casse erano state disposte nei punti più favorevoli all'emissione dei gas e cioè in terreno piano e in corrispondenza delle testate dei valloncelli. Quest'ultima operazione era stata fatta in gran segreto nella notte del 26 giugno e poiché il vento non era favorevole all'attacco, erano state prese da parte austro-ungarica speciali misure di sorveglianza per impedire eventuali diserzioni, che ci avrebbero consentito forse di venire a conoscenza dei propositi del nemico.

Ritorna all'elenco dei diari