Gli arditi sul San Gabriele - 1917, parte I

Questo brano è tratto da Fiamme Nere prima edizione, Cecconi, 1920. La narrazione di questo diario ripercorre le vicende accadute durante l'attacco degli Arditi al Monte San Gabriele il 4 settembre del 1917, durante l'undicesima battaglia dell'Isonzo con la consueta enfasi e la retorica propria del tempo.

Si andrà alla conquista del S. Gabriele, di quel torrione di ferro, che par sia diventato il calvario della passione d'Italia. Ma su quel calvario le Fiamme Nere celebreranno domani la loro pasqua di sangue e di vittoria.
Oggi, riposo e libertà completa alle truppe. Nelle vigilie solenni l'ardito deve godere, dare tutto se stesso alla vita con voluttà intensa. Domani, con più intensa voluttà, darà tutto se stesso alla morte.
Viene da lontano l'eco indistinta del bombardamento violento.
Dura da qualche giorno e par che voglia radere al suolo la catena di monti su cui il nemico ci contende aspramente il passo.
Si sente con gioia che le nostre artiglierie lavorano per render più bella la festa degli arditi.

Mattino del 2 settembre 1917
Il tempo è meravigliosamente bello, il cielo è senz una nube e una gloria di sole ride dall'azzurro profondo.
Stamane si sono ultimati i preparativi per la partenza, si sono distribuiti i viveri e le munizioni, poi le truppe sono state passate in rivista. Prenderanno parte alla azione tre compagnie soltanto del I reparto d'assalto poichè una, la prima, è già partita per un colpo di mano sulla Bainsizza. La seconda è comandata dal tenente Giorgio Grisanti, la terza dal capitano Carlo Pedercini, la quarta dal tenente Luigi Stefanoni.
Né gli effettivi sono al completo. Quattrocento uomini circa di forza complessiva. Dopo la rivista s'è dato sfogo all'entusiasmo e s'è celebrato il consueto rito della vigilia. Le compagnie si son radunate sotto le loro bandiere ed in processione hanno fatto il giro dei campi emettendo i loro gridi di guerra, acclamando al colonnello [Bassi], ai loro comandanti, ai loro ufficiali.

Sera del 2 settembre 1917
A mezzogiorno una colonna, di trenta camions aspettata a Manzano.
Le compagnie sono partite alle ore 15 dal campo di Sdricca. Il colonnello era là a vederle partire. Non ha deto che due parole:
- Fatevi onore.
E dette da lui valevano più d'una lunga arringa. Sappiamo quanto egli sia parco di parole e sa anche lui che per i suoi arditi non c'è bisogno di tante chiacchiere. Non sono essi i volontari della morte? E non li ha visti egli balzare, come leoni, all'assalto ad Auzza, al Sommer, al M. fratta, a Belpoggio, nell'epiche giornate di quell'agosto famoso che consacrò per sempre, alla gloria di Fiamme Nere?
Manzano risuonò di grida, di canti, di spari quando gli autocarri, verdi di fronde e neri di bandiere ondeggianti, partirono per la battaglia.
S. Giovanni, Brazzano. Cormòns, i cento paeselli lungo il perorso hanno visto passare la colonna delirante e come un vento di folle entusiasmo li ha avvolti e inebbriati.
Poi è calata la sera, calma, afosa, sull'Isonzo cerulo e con le prime ombre è scesa nei petti la quiete.
Le compagnie nere hanno risalito la sponda a sinistra del fiume oltre Salcano e si son fermate nel greto, dietro l'argine, ad aspettare.
Ma la notte rugge.
Dal Sabotino al Peuma, al Grafenberg, sul S. Daniele, sul S. Marco, è un acccendersi continuo e fantasmagorico di vampe e di bagliori, un alzarsi di strane colonne bige impennacchiate, simili a giganti paurosi levatisi dal sonno, per poco, a spiare misteriosamente intorno.
Dalla cresta brulla di S. Caterina e dalla cima del Faiti, due riflettori frugano nella notte. S'accendono, s'allungano, s'incrociano, si spengono, mentre qua e là, nelle tenebre, fioriscono corolle bianche di razzi ed eccheggiano le fucilate delle vedette insonni.

3 settembre 1917
La notte è stata tutta ripiena del fragore dlle cannonate. Stamane il bombardamento è continuato ed ha raggiunto una intensità violentissima.
Per tempissimo alcuni ufficiali sono andati su, in prima linea, a prendere accordi con le fanterie che la presidiano e a ricevere tutti gli altri che oggi, alla spicciolata, raggiungeranno le trincee.
Pare che l'azione avrà inizio domani e che saremo spalleggiati dalle brigata Arno dell'XI divisione.
Il primo rancio s'è consumato sul greto dell'Isonzo: carne in iscatola e pagnotta.
La salita è comiciata nel pomeriggio, due ore circa dopo il mezzogiorno, a gruppi di quattro o cinque, sotto una pioggia fitta di piombo.
Il nemico, messo in alalrme dal nostro tiro insistente di argiglieria, che tempesta le sue posizioni e le sue immediate retrovie, ha iniziato, fin da stamane, un bombardamento rabbioso di tutti i suoi calibri, battendo di preferenza questa stretta valle isontina da cui si aspetta l'attacco.
La salita è stata faticosisima, in terreno quasi scoperto, dove i camminamenti son pochi e poco profondi; e si son dovute lamentare delle perdite fortunatamente lievi: qualche morto e parecchi feriti.
Ma - come Dio ha voluto - s'è giunti quassù, prima di sera, in tempo per dare uno sguardo - prima che il sole si nasconda dietro il Sabotino - alle linee avversarie e farsi, di volata, un'idea del terreno sul quale domani si dovrà operare.
Terreno aspro e difficilissimo, tutte balze, tutto rocce alte e in più punti a picco come torrioni inespugnabili da cui i tedeschi dominano le nostre posizioni; qua e là picchiettato da boschetti che si prestano meravigliosamente alle insidie; tutto intersecato di trincee e camminamenti e coperto di reticolati profondissimi.
LA linea nostra è tenuta dal 213° reggimento di fanteria, va dalla Sella di Dol e giunge fino all'altura di S. Caterina: una trincea poco profonda, riparata alla meglio da massi e da sacchetti pieni di terra.
I soldati nostri vi si sono istallati come in casa propria, hanno consumato il secondo rancio a secco e si son messi a dormire.
Ma parecchi, che non hanno sonno ed hanno in corpo il demone della curiosità, hanno voluto fare una capatina fuori, tastare il terreno, prender conoscenza con le difese del nemico.
A sera inlotrata, i comandanti dei tre battaglioni di fanteria e delle tre compagnie d'assalto si sono riuniti in una caverna poco distante dalla linea ed hanno discusso l'ordine di operazione.
Semplicissimo: domani all'alba, gli arditi attaccheranno; la terza compagnia a sinistra e al centro, la seconda e la quarta a destra. Avranno di rincalzo ciascuna un battaglione del 213°. Un plotone della terza cercherà di impadronirsi del Fortino di Dol; poscia, riversatosi nella valle, seguirà la rotabile che conduce a Ravnica, appoggiato da una squadriglia di automitragliatrici che verrà da Salcano.
Superata la cresta del monte, si discenderà il versante opposto fino alle pendici del San Daniele e di Ternova.
L'azione non sarà preceduta che da un brevissimo tiro di distruzione delle nostre artiglierie.
E' tadri: tutto è in ordine e un pò di riposo, sia pur sulla nuda terra alla luce delle stelle, bisogna prenderlo.
I cannoni che hanno infuriato fino ad ora sembrano anch'essi stanchi e tacciono. Solo qualcuno, a lunghi intervalli, lancia ancora qualche colpo.
C'è, tutt'intorno, una strana calma.
Parrebbe di essere cento miglia lontano dal nemico se qua e là, tratto tratto, non risuonasse qualche sparo che rende più profonda la quiete, se per l'aria non si alzassero come fiori d'argento i razzi, se questi benedetti riflettori non irraggiassero nella notte silenziosa i loro fasci di luce bianca che accecano.

Trincea del San Gabriele. 4 settembre del 1917, ore 6
Ai primi, incerti chiarori dell'alba, tutti gli arditi erano in piedi nelle trincee, pronti all'attacco.
La calma era immensa, impressionante. Non uno sparo. Fra i boschetti di faccia qualche uccello mattiniero cantava perfino.
Ma verso le cinque e mezza, senza che alcuno se lo aspettasse, s'è udito come il muggire fragoroso d'una tempesta improvvisa.
Un saettio di sibili paurosi per l'aria e un terribile, accellerato rombare di cannonate. Erano i segni forieri della battaglia. Le nostre artiglierie hanno infuriato e infuriano con una violenza inaudita.
Mentre i cannoni tuonano senza un istante di tregua, gli arditi sono appoggiati alle trincee, col moschetto a tracolla, il pugnale tra i denti, i petardi in pugno, silenziosi, ed aspettano l'ordine di saltar su.
Negli occhi passano bagliori di sangue più vivi e più sinistri di quelli delle granate.

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