Il Monte Sabotino, da una descrizione di A. Huebner-Pralish

Alexander Huebner-Pralisch offre il suo contributo nella descrizione del Monte Sabotino e di quello che su quel monte stava accadendo nel 1915.

Presso Salcano, l'isonzo irrompe improvviso dalle montagne. Nelle sue acque smeraldine, trasparenti come cristallo porta lo struggimento dei nevai delle Giulie, la frescura di prati alpini. Il corso fattosi quieto attraversa un angolo di terra benedetta, in cui crescono palme, castagni e viti dai grappoli rosso rubino. Si potrebbe paragonarla ad una donna affascinante dalla bellezza pacata, che amorevolmente sorveglia il gioco del suo vivace bambino.
Salcano è un paese quieto; si nasconde tra le montagne e solo con il suo campanile tenta di curiosare nella piana.
Dove l'Isonzo, forzando la stretta del Monte Sabotino e del Monte Santo, celeste d'impeto si allarga a ridosso di Salcano, tra il fiume e la strada c'è un camposanto. Un terreno di circa 50 passi recintato da un muro di pietra; all'interno una tomba accanto all'altra. Astri e rose sembrano tessere una bianca coltre che si unisce al verde dei cipressi e delle pendici del monte; semplici croci di legno si innalzano verso il cielo.
C'è ancora del posto. Ma molto ridotto, perché lassù tra i monti, italiani e austriaci si ammazzano e la morte sta raccogliendo un fruttuoso bottino. Tra le rocce non si può venir sepolti; si deve giungere a valle. Ora vicino al piccolo cimitero, in un piccolo campo, si scava la fossa per coloro che sono morti per la Patria. Giacciono l'uno accanto all'altro, in due, tre, quattro file: giovani esistenze, che ancora nulla sapevano della vita, riposano col sorriso sulle labbra; uomini maturi, i cui visi tradiscono l'asperità della vita, conservano anche nella fissità della morte uno sguardo severo. L'ultimo raggio di sole fa luccicare l'anello nunziale che portano al dito; la rugiada del mattino li bacia con le sue lacrime. Sono quasi tutti italiani.
In uno slancio quasi insano i loro compagni continuano a scagliarsi contro le nostre postazioni sul Monte Sabotino; in un inferno di spari che sfrecciano sibilando, di granate che esplodono, di mine devastanti siamo costretti ad ucciderli. Ogni notte i nostri bravi soldati raccolgono con pietà i caduti e soccorrono i feriti, ma sull'interminabile macabro corteo continuano a cadere senza requiem le bombe degli italiani. Forse pensano che siano arrivate nuove forze a sostituire i nostri che hanno già compiuto il loro dovere, non intuiscono invece che si sta trasportando cadaveri e feriti del loro stesso sangue: gli italiani continuano a colpire, ma colpiscono i loro morti e continuano a uccidere i loro feriti.
Dunque questa è l'Italia! Nei decenni della nostra alleanza l'abbiamo resa grande, le abbiamo donato fiducia e amore.
Ed ora gli italiani che cosa stanno facendo?
Onorano i loro morti e salvano i loro feriti?
"Signore perdonali, perchè non sanno quello che fanno!"
I feriti proseguono il viaggio per Gorizia, dove troveranno ricovero nell'ospedale della Croce Rossa; anche questo è stato bersagliato dall'artiglieria italiana. I morti riposano ai piedi del Monte Sabotino, sulle pendici hanno sacrificato la loro vita.
Il suo crinale, che sembra essersi levato d'impeto verso il cielo dalla piana di Gorizia, assomiglia ad un gigantesco tetto gibboso. Un versante scende ripido verso il camposanto, l'altro più dolcemente sembra intrufolarsi a mezza altezza come un lungo dorsale in territorio nemico. Sulla cima siamo noi, gli italiani invece più sotto.
Dall'inizio della guerra il Sabotino è stato l'obiettivo degli itliani. Lo considerano il punto chiave. Mai si è combattuto così ferocemente come nella terza battaglia dell'Isonzo.
K'alba del 18 ottobre si era annunciata sotto un fuoco incessante: pallottole di calibri diversi si schianatavano sulle sue pietre. La montagna era un insieme di fumo, polvere e vapore; la pioggia ininterrotta di ferro raggiosamente distruggeva ogni vita. Bombe di gas creavano nuvole azzurrognole che si innalzavano cuneiformi dal terreno bruciato, mentre le granate consumavano i boschi sottostanti che ardevano avviluppati in una morsa di fuoco: era questo l'inizio della distruzione, del caos, dell'orrore. Mitragliatrici scaricavano senza sosta pallottole, che solcavano il cielo con il loro fischio di morte. Un rombo continuo sconvolgeva e scopriva il monte. I piccoli cannoni aprivano le loro bocche, quelli più grandi scaricavano il loro contenuto di morte sull'infelice montagna.
L'inferno era iniziato in una radiosa giornata di sole autunnale.
Madre natura si apprestava ad indossare il suo vestito più bello; corone di foglie giallo oro, rosse e brune spiccavano tra il verde dei prati, un broccato d'oro avvolgeva il suo corpo, prezioso tessuto che risaltava ai miti raggi del sole.
Ma lassù continuavano ad emettere il loro tuono foriero di morte.
Trascorse il giorno, venne la notte, il giorno seguente e loro continuavano senza interrompersi mai. Gli italiani temevano che sul Sabotino ci potesse essere solo la morte, ma passarono all'attacco. Avevano ragione: sul Sabotino trovarono realmente la morte, perché le nostre mitragliatrici e la nostra fanteria li falciarono a frotte. Urlando fuggirono i pochi sopravvissuti. Il fuoco ricominciò: quel gioco infernale si ripeteva ogni giorno. La nostra incomparabile fanteria sapeva che doveva resistere fino alla fine: grazie alle geniali misure disposte dai suoi comandanti, grazie alla nostra eccellente artiglieria.
Non lontano dalle nostre linee c'è una conca. Là si erano raccolti gli italiani per sferrare un attacco. Per ore li abbiamo visti attraversare e poi rintanarsi dentro. Quando furono almeno cento iniziammo a lanciare bombe: perirono tutti, nessuno riuscì a salvarsi: la pietra calcarea esplodeva in mille frammenti li copriva come un pietoso lenzuolo. Un'altra volta riuscimmo a stanarli dalle loro trincee: alcuni li uccidemmo, altri li facemmo prigionieri.

Ma gli italiani non demordono. Sempre truppe fresche sacrificano le loro vite in attacchi insensati. Dieci reggimenti arrivati sul Sabotino sono stati annientati. Ora il colera decima i superstiti: poveri italiani!
La battaglia però continua e sotto, presso Salcano, si continua a scavare nuove fosse per coloro che ancora ieri erano in vita.
Arriva il prete. recitiamo una preghiera per quei soldati che hanno dovuto morire perchè il loro re ha infranto il patto di alleanza.
Rif. bibliog.: Testimonianze dal fronte - M.Bressan, C. Vaszocsik, Laguna 2003.

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