Gorizia distrutta. L'evacuazione della città da parte delle nostre truppe

Un reportage apparso nel "Grazer Tagblatt" edizione della sera del 11 agosto 1916 riguardo i primi giorni dopo l'occupazione di Gorizia.

Ufficio stampa, 10 agosto.
Quando le prime pattuglie italiane entrarono in Gorizia, trovarono solo macerie fumanti, laddove un tempo sorgeva l'animata e fiorente città. Qua e là ancora arde, fiamme si alzano verso il cielo, travi si schiantano, cenere si disperde nel vento. Credevano di entrare da vincitori nella città liberata, di trovare uomini felici, che avrebbero accolto loro, i "liberatori", con esultanti manifestazioni. Trovarono invece uomini emanciati e sfiniti con i visi pallidi e assonnati che si intravvedevano dalle grate delle cantine; il loro sguardo era terrorizzato, manifestazione di uno stato d'animo tormentato da lungo tempo. La maggior parte ella popolazione aveva lasciato la città da mesi, per ritornarvi dopo la battaglia di novembre. Ora se ne andavano nuovamente di tutta fretta, lasciando ancora una volta le loro case che sembravano poter afflosciarsi da un momento all'altro.
Non una città, ma un caos di rovine abbiamo lasciato in premio al nemico. L'evacuazione era iniziata quando tenevamo ancora la nostra posizione sulla sponda destra dell'Isonzo. La popolazione era già stata allertata; un altro bombardamento degli itlaiani avrebbe causato un grave pericolo alla loro sicurezza. Molti, però soprattutto quelli delle classi inferiori, non vollero abbandonare le loro case e preferirono morire dove erano nati. Già nella III e IV battaglia dell'Isonzo gli italiani avevano condannato Gorizia alla completa distruzione poiché non erano riusciti a conquistarla.
LA sua completa rovina avvenne in più riprese.
L'ultimo fatale bombardamento fu quello del 13 novembre. Così il I° dicembre la città assisteva alla riunione d'apertura del parlamento italiano. Il periodo intercorso dalla metà alla fine di novembre fu il più tremendo per la città e forse il più doloroso.
Gli italiani procedettero sistematicamente alla sua distruzione, quando compresero che la "liberazione" non era raggiungibile in altro modo. Dal 18 al 21 le strade rimbombarono per gli scoppi tremendi che sconvolsero la città per tre giorni consecutivi. Ben 430 granate si abbatterono, nonostante le batterie italiane lavorassero solo sei ore al giorno. Le granate incendiarie colpirono la chiesa parrocchiale di Piazzutta, il seminario, la sede del circolo degli sloveni: tutte le strade erano avviluppate dalle fiamme.
Non venne risparmiata chiesa alcuna. Una mattina, sul tetto del duomo di Sant'Ignazio si rinvenne una bomba inesplosa di ben 21 centimetri.
Il vecchio palazzo Luzzato è stato distrutto dalle granate, la signorile dimora del conte di Chambord rovinata; il comandante svizzero Von Valiere, con cui tempo fa mi trovavo sull'Isonzo, scrisse commosso al suo giornale: "L'artillerie italienne à violé la tombe du roi Cherles X le dernier des Bourbons de France, dont les restes reposaient dans la chapelle du couvent de Castagnavizza" (l'artiglieria italiana ha profanato la tomba del re Carlo X l'ultimo dei Borboni di Francia, i cui resti riposano nella cappella della Castagnevizza).
Nel giorno di tutti i Santi gli italiani disseminarono di granate la via che porta al vecchio cimitero con i cipressi. Esposti ad un tal pericolo celebrare un funerale o seppellire un morto diventò impensabile. Colpirono preti e profanarono tombe.
In Piazza Grande, scena degli avvenimenti cittadini, i mercanti continuarono a sistemare i loro banconi seppur tra le macerie, ma non si vedeva anima viva.
In questi ultimi giorni i goriziani rimasti, consapevoli di spartire fino all'ultimo le sorti della loro amata città, si sono rifugiati a vivere nelle cantine. Quei cittadini invece privati della propria casa distrutta dalle granate, si sono nascosti negli scantinati del municipio. Più di 300 persone si sono ammassate là sotto, in particolare anziani, donne e moltissimi bambini. Si sono sistemate su materassi, su fagotti, dentro ai quali avevano raccolto in tutta fretta alcuni oggetti. Quando il cupo rimbombo seguiva all'esplosione, nella penombra dell'esiguo spazio, sguardi terrorizzati si interrogavano sul luogo in cui doveva essere caduta la bomba. Nessuno era in grado di prevedere quanto sarebbe durato. Ogni volta che l'artiglieria taceva, si cercava di verificare l'entità dei danni, ma sulla città stremata le bombe continuavano a cadere.
Centinaia di civili - un giorno forse conosceremo il numero esatto - fra cui molti bambini, sono morti sotto le granate italiane. Fino all'ultimo le autorità hanno assolto il loro dovere. Gli impiegati del comando distrettuale sono rimasti nei loro uffici fino a che il soffitto non è crollato loro addosso. Il commissario governativo si era sistemato da mesi in cantina, ma nelle ultime ore a tutti gli impiegati è stato imposto di lasciare il servizio.
L'ultima notte, quella tra il 7 e l'8 agosto è stata la più terribile. Durante il giorno le granate itlaiane erano esplose in diversi punti della città provocando numerosi incendi che alla sera non erano stati ancora domati. Il rimbombo dell'artiglieria faceva tremare Gorizia. Fuggiaschi raccontano che per tutta la giornata di lunedì un silenzio mortale gravava sulla città. Sulle strade non c'era anima viva. Sibili ed esplosioni si accompagnavano alle granate; in riva all'Isonzo c'era l'inferno. Nelle brevissime pause si sentiva solo il ticchetti8o delle macchine da scrivere.
Quando sopraggiunse l'ordine di evacuare Gorizia, le nostre truppe, che si trovavano sulla riva dell'Isonzo, la lasciarono ridotta ad un desolante cumulo di macerie ancora fumanti.

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