Il resoconto italiano sulla Strafe expedition

Il 15 maggio 1916 si scatenò l'offensiva austro-ungarica sul fronte del Trentino. La Strafe Expedition intendeva punire gli italiani per essersi alleati con Francia, Gran Bretagna e Russia ed aver quindi tradito il patto della Triplice Alleanza. Di seguito si riportano le dichiarazioni ufficiali italiane al riguardo. Tradotto ed adattato dal volume Source Records of the Great War, Vol. IV, ed. Charles F. Horne, 1923.

Il piano di invasione dell'Italia lungo queste deboli frontiere era il più familiare all'Austria. Era il più studiato e pensato dei piani dal Comando Supremo, in particolar modo dal Comandante in Capo, Generale Conrad von Hoetzendorf che era completamente a favore della campagna in Trentino. La Germania aveva deciso riguardo la distruzione di Francia e Gran Bretagna, l'Austria aveva deciso riguardo la sua "Campagna punitiva".
La scelta di Conrad di attaccare in Trentino, sotto la neve fino a primavera ben inoltrata e la necessità di regolarizzare la situazione nei Balcani, prevenì attachi su più fronti. L'offensiva contro l'Italia, che sarebbe stata invasa e forzata a siglare una pace separata era un fatto ormai scontato nella mente del Generale austriaco che aveva cercato i meriti della "colpo decisivo" già da lungo tempo. Quello che è certo è che il piano di Conrad era tale che il Comando austriaco ordinò un prolungamento ed un'attenta preparazione della nuova offensiva. Il piano verteva su due decisioni che più tardi si rivelarono errori grossolani.
La prima decisione si basava sulla presunzione di una resistenza flebile da parte dell'Esercito Italiano, pensato incapace di arginare un attacco frontale decisivo; incapace non solo sotto il punto di vista della preparazione ma più che altro, dal punto di vista della forza morale delle truppe. Per questo motivo il Comando austriaco credeva che la ritirata delle truppe italiane si sarebbe trasformata in una rotta. La seconda decisione era basata sull'impossibilità che i russi potessero tentare un'offensiva in grande stile dopo le azioni del gennaio, durante le quali subirono una cocente sconfitta.
Fermo sulle sue convinzioni, il Comando austriaco credette che il fronte orientale fosse sicuro, ritirando da esso le sue migliori e più combattive truppe, appoggiate da una numero di artiglierie particolarmente elevato che, assieme ad altre truppe stornate dai Balcani, costituirono le diciotto divisioni destinate ad attaccare nel Trentino.
Questa forza composta da 400.000 uomini supportati da più di 2.000 cannoni, la metà dei quali di medio calibro, con 40 pezzi da 305, 4 da 380 e 4 da 420, diretta in Trentino prese il nome di "Spedizione punitiva". Un appellativo che dava sicurezza e disprezzo al tempo stesso. Il presupposto era concentrare il fuoco di artiglieria e lanciare l'attacco dei battaglioni lungo un fronte ristretto, facendoli scendere rapidamente sulle alture di Padova ed ottenere quindi il vantaggio di posizionarsi proprio dietro gli Italiani appostati lungo l'Isonzo che, presi tra due fuoci, sarebbero stati indotti alla ritirata.
Gli Austriaci erano così sicuri del successo che furono invitati a seguire la "Spedizione punitiva" anche personaggi quali storici ed intenditori d'arte che dovevano raccogliere i tesori di maggior valore da chiese, musei e via discorrendo, imballarli e spedirli in Austria.
I piani fallirono miseramente. La zona d'attacco scelta dagli austro-ungarici era compresa tra l'Adige ed il Brenta. Il bombardamento si aprì il giorno 12 maggio, diventando tremento il 14. Subito si sviluppò l'offensiva che apparentemente si estendeva dalla Val Giudicaria fino al mare, cercando quindi di confondere gli italiani. Il nemico poteva permettersi di effettuare manovre diversive in quanto la massa delle artiglierie da impiegare per l'attacco diretto non interferiva con le altre che dovevano agire altrove.
Il 15 maggio seguì l'attacco delle fanterie, fiero ed impetuoso, lungo le linee prescelte per l'attacco vero e proprio. L'impatto della loro ala destra fu il più cruento perchè volevano portare gli italiani a lasciare le posizioni dominanti di Rovereto, già minacciate, ed in particolare, cercavano un rapido successo proprio in questa zona e questo avrebbe deciso le sorti dell'offensiva. Conquistando Vallarsa, le loro forze avrebbero controllato la rotabile Rovereto-Schio, ovvero il punto più prossimo dal quale sarebbero potute poi scendere lungo gli altipiani, piazzandosi così proprio alle spalle degli italiani impegnati nella difesa dell' altopiano di Asiago.
Dopo quattro giorni dall'inizio dell'attacco, l'ala destra austro-ungarica fu bloccata completamente. Dopo un ordine di ritirata celere dalle posizioni più avanzate, la resistenza italiana crebbe costantemente sulle linee Coni-Zugna-Passo Buole, mantenendosi vigorosa su un terreno ostile, 12 chilometri dietro i vecchi confini. Gli austriaci continuarono ad assalire la XXXVII Divisione fino alla fine del mese di maggio ma, dopo dodici giorni di continui attacchi, dovettero mollare la presa e riconoscere il valore della divisione, lasciando il Passo Buole e l'Adige coperti di cadaveri.
La rapida avanzata austro-ungarica non fu bloccata solo sull'ala destra ma anche grazie alla caparbia resistenza sul Pasubio, divenuto il più forte bastione contrapposto ai disperati ed ostili assalti avvenuti nello stesso mese. In Val Sugana, l'ala sinistra subì il medesimo fato della destra. Per vincere, gli Austriaci avevano la necessità di ottenere una rapida vittoria lungo il corso del fiume Brenta. Gli italiani dovevano esser spinti indietro da Borgo, dietro ai vecchi confini, in modo da assicurare il fianco destro da ulteriori minacce.
Invece, dal 15 al 25 maggio, gli Italiani si ritirarono sempre combattendo da posizioni esposte e selezionarono una linea di difesa leggermente dietro a Borgo, in territorio ostile, a circa 18 chilometri dalla frontiera. Fu su questa linea che si infransero gli attacchi austro-ungarici. Così, quattro giorni dopo l'offensiva o, come dir si voglia, il 19 maggio, l'ala destra austriaca fu bloccata; più tardi, il 26 maggio, la stessa sorte toccò anche all'ala sinistra dell'attacco.
Entrambe le ali erano indebolite ed il valore dell'avanzata centrale austro-ungarica perse smalto sull'altopiano di Asiago, dove le artiglierie che battevano lungo un ristretto raggio, parevano lungi dall'essere sconfitte. Arsiero ed Asiago, unici centri abitati importanti di questa regione montagnosa, furono abbandonati dalle truppe italiane e soffrirono la furia selvaggia del nemico che, avendo fallito nei propri sogni di vittoria, iniziò il saccheggio incendiando gli abitati.
Il 2 giugno, grazie a 18 giornidi fiera difesa, il Comando Supremo Italiano come annunciato da Cadorna nel bollettino del giorno seguente, poteva considerare l'offensiva austro-ungarica come respinta lungo tutto il fronte.

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