Da Gorizia a Doberdò, parte II

Ma, se le granate sono scarse, tanto più abbondanti sono le bombe degli aerei, perché gli aviatori italiani vengono sulla zona più volte al giorno. Talora già di primo mattino, o verso sera. Il lontano bum, bum della contraerea attrae per primo l'attenzione, cioé solo la mia. Perché al di là, nella cancelleria della divisione, gli ufficiali alzano la testa solo quando hanno gli aerei proprio sopra e quando odono la gragnuola delle pallette di piombo degli shrapnel battere sul terreno accanto a loro. Io sono dunque in cerca delle nuvolette degli shrapnel e inseguo con lo sguardo il punto nero, in tutto il suo volo; i soldati che passano non alzano nemmeno gli occhi. Tutto sulla terra è relativo.
I punti provenienti dall'orizzonte s'avvicinano con sorprendente rapidità. Ben presto se ne ode il ronzio dei motori e poco dopo si riconoscono i colori italiani. Come se fosse un re, il Caproni è sempre seguito dall'ossequioso corteo dei fiori bianchi prodotti dai nostri cannoni nel cielo. Solo raramente qualcuno lo precede come un paggio grazioso.
Sembra quasi impossibile colpire quel puntolino velocissimo nello spazio infinito e si ha anche l'impressione che l'uomo, lassù, si trovi perfettamente a suo agio tra le pallottole. L'aria intorno a lui è già tutta densa di scoppi, ma egli non si lascia disturbare; conclude le sue visite mattinali e serotine e ritorna con volo tranquillo verso casa sua, sempre seguito dal bianco corteo. L'attendente del generale mi racconta di aver visto, dalla finestra della scuola, precipitare già sei velivoli. Il comandante ride dell' esagerazione ed esclama: "Magari fosse così!"
Gli Honved occupano il così detto altopiano di Doberdò fin dall'inizio della guerra. Tranne che per due mesi più tranquilli, essi versarono il loro sangue in difesa di Doberdò. Questa divisione ha tenuto il San Michele durante le cinque offensive isontine.
Sull'Isonzo, gli Ungheresi sono schierati accanto agli Austriaci e il fronte complessivo è al comando di un Croato. Ognuno dà il meglio di sé ed è orgoglioso del suo sacrificio. L'azione comune dà al paese frutti comuni.
Gli Ungheresi dividono con i Tedeschi una qualità rilevante, essi considerano cioè la gloria di ciascun loro conterraneo come la gloria di tutti loro. L'invidia genuinamente umana, e probabilmente internazionale, per chi ha successo, che certo rode anche il cuore degli ambiziosi Ungheresi, viene quasi sempre ricacciata dall'idea che i festeggiamenti fatti a uno di loro sono in realtà una festa nazionale. PErciò, gli Ungheresi non lesinano mai gli applausi a un commilitone.
Allo scopo di orientarmi, faccio subito, al primo giorno, un giro di molte ore intorno alle alture del plateau.
Ho cominciato dalle cinque del mattino fino alle cinque del pomeriggio, eppure sono riuscita a percorrere in lungo e in largo solo una piccola parte dell'enorme territorio montuoso; sono stata, però, sulle principali vette che offrono la vista più favorevole. Il miglior panorama lo offre il Fajti Hrib, che perciò è anche la meta di tutti i visitatori. La moglie del comandante del corpo, l'arciduchessa Augusta, il sindaco di Vienna, Dr. Weiskirchner, tutti i succcessivi gruppi dell'ufficio stampa di guerra, in breve tutti i messaggeri dell'Hinterland sono saliti sul Fajti Hrib. Ora, le cose si sono alquanto calmate lassù. La salita è stata vietata ai non addetti e ciò perché il gran movimento sulla strada a molti tornanti è stato notato dagli Italiani che, per un certo tempo, l'hanno tenuta sotto il loro fuoco. Il capitano ungherese, al quale mi sono aggregata e che presta servizio sulla cima, mi racconta, in un tedesco approssimativo, che il traffico è stato limitato da quando la faccenda ha perduto in parte la sua non pericolosità, e ora può salire solo chi ha un permesso. Con noi c'è un tenente viennese dell'artiglieria austriaca. Con un'espressione da finto tonto desideroso d'imparare, chiede se gli Italiani non sparino a chi possied un permesso.
La vista dall'alto è davvero bellissima, sia dal lato del paesaggio che da quello militare. E' così completa, che sulla cima non c'è nessun osservatore e gli Italiani non ci sparano perché sanno che in un posto così aperto e visibile non si mettono osservatori. La cosa è così ovvia che, quasi, si potrebbe, invece, costruirvi davvero un posto d'osservazione. In realtà, l'osservatore c'è, ma molto più in basso, in qualche punto del pendio, in una profonda nicchia a prova di bomba, perchè là c'è il più grande orgoglio della divisione, il telescopio Zeiss.
Davanti all'ingresso, il comandante ha fatto mettere un cartello: "Non si deve disturbare l'osservatore". Questo s'era reso necessario perché ogni ufficiale libero dal servizio soleva andare in pellegrinaggio su al telescopio, che ha l'aspetto d'un piccolo cannone. Il tenente che sta lassù è molto rattristato da quel cartello: "La vita è divenuta noiosa", si lamenta "ero abituato a starmene in prima linea. Ora sono ferito e mi hanno messo qui dove mi sembra di essere un eremita".
Anche se la vista a uno dei punti famosi e spesso nominati, dimostre che, nonostante qualsiasi descrizione, non se ne ricava una nozione esaL'altopiano ha preso il nome dal villaggio di Doberdò solo in tempo di guerra, proprio come il colle davanti al villaggio di Podgora, che prima si chiamava Monte Calvario, è stato così battezzato dall'armata isontina. Podgora, infatti, significa "Sotto il monte".
Bisogna immaginarsi questo famoso altopiano come una sottile catena di colline, sottile in rapporto alla sua lunghezza, che corre perpendicolarmente al fronte e fiancheggia in tutta la sua estensione la pianura del Vipacco. La cima più avanzata è il mille volte citato Monte San Michele. Esso forma il pilastro di sinistra della porta di Gorizia, quello di destra è il Podgora. Si può immaginare Gorizia come il punto centrale di un semicerchio formato dal Monte Gabriele, dal Monte Santo e dal Monte Sabotino che degradano nelle zampe protese in avanti di Oslavia e di Podgora. Qui cessa il semicerchio settentrionale e l'Isonzo può scorrere incontro al nemico.

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